giovedì 4 novembre 2010

Microcredito indiano sotto accusa

Quando lo scorso luglio si annunciò la quotazione in borsa della più grande società indiana di microcredito lo si fece con una speranza. Che i principali player del settore, in vista di un appuntamento storico, avviassero una riflessione sulle enormi trasformazioni che stavano avvenendo nel loro mondo. E che possibilmente lo facessero prima che il collocamento di Sks Microfinance trasformasse il suo fondatore, Vikram Akula, in una specie di milionario arricchitosi prestando soldi ai poveri. A quel punto, scrivemmo, sarebbe stato troppo tardi per avviare una discussione serena. E presto o tardi il movimento indiano del microcredito sarebbe finito sotto attacco.
Quello che nessuno aveva previsto era che l'attacco sarebbe stato così violento e immediato. Da alcuni giorni le società di microcredito dell'Andhra Pradesh, lo stato che da solo rappresenta circa il 30% del mercato indiano dei prestiti ai poveri, si trovano di fronte al rischio concreto di fallimento. Un paio di settimane fa il governo locale ha disposto una moratoria sul rimborso dei prestiti, accusando le società di microcredito di essere responsabili di una recente ondata di suicidi (oltre 40 in un mese e mezzo) avvenuta nello stato.
La metodologia impiegata per accertare il nesso tra le morti e i prestiti resta tutt'oggi piena di ombre, ma l'accusa è stata talmente clamorosa e infamante da aver trovato rapidamente due sparuti quanto vocianti gruppi di proseliti, uno a destra e l'altro a sinistra. Per i primi è stata come un'illuminazione: la creazione valsa il premio Nobel per la pace a Muhammad Yunus non è che una forma politicamente corretta di strozzinaggio. Per i secondi è stata una conferma: chiunque si arricchisca creando prodotti, in questo caso finanziari, per i poveri è uno sfruttatore.
«Nonostante questo polverone - spiega Ramesh Bellamkonda, managing director di Bss Microfinance - penso che là fuori ci siano ancora abbastanza persone di buon senso in grado di analizzare i dati, correggere eventuali errori e non uccidere l'industria del microcredito». Bellamkonda conosce bene il problema per un motivo molto semplice: circa un anno fa anche la società che dirige è stata messa all'indice. In quel caso l'accusatore era un'influente figura religiosa locale visibilmente infastidita dagli spifferi di emancipazione femminile portata tra la comunità musulmana da un meccanismo di credito che per definizione si rivolge alle sole donne.
Questa volta l'attacco è arrivato dal governo dello stato indiano in cui il microcredito è più diffuso e dove hanno sede le società più grandi del settore. «Siamo sicuri che il loro successo non infastidisca qualche burocrate?», si chiede Bellamkonda. Per capire che la domanda è puramente retorica basta guardare i dati raccolti dalla National Bank for Agriculture and Rural Development.
La prima cosa che salta all'occhio è che il credito ai poveri fornito dal settore privato, ovvero le società di microcredito, sta arrivando là dove quello promosso dal settore pubblico non era mai giunto. Nell'anno fiscale 2006-07 i prestiti delle banche verso le società di microcredito valevano meno del 13% di quanto sborsato verso i Self help group promossi dai governi locali. Un anno più tardi la quota era salita al 16%. Dopo un altro anno al 22%. Trattandosi di dati nazionali è facile immaginare quale possa essere stato il trend in Andhra Pradesh, lo stato dove il microcredito ha avuto più successo e dove oggi si trova con le spalle al muro.
La tesi che dietro il caso dell'Andhra Pradesh ci sia una guerra tra banchieri dei poveri, pubblici contro privati, non sembra quindi campata per aria. Questo però non significa che gli emuli in chiave for profit di Yunus e della sua Grameen Bank siano esenti da colpe.
Ben prima che Sks sbarcasse in borsa alcuni autorevoli osservatori del mondo indiano del microcredito avevano espresso le loro perplessità spiegando come i big player stessero trasformando radicalmente i loro modelli di business.
Secondo il chief executive officer di Access Vipin Sharma la crescente efficienza delle società gestite con criteri manageriali si stava traducendo in «utili più alti, anziché in tassi più bassi». Non solo. Dovendo massimizzare i profitti, spiegava Sanjay Sinha, managing director di M-Cril, una società di rating specializzata nel settore del microcredito, le grandi società di microcredito stavano andando tutte a caccia degli stessi clienti. Poveri sì, ma non poverissimi. In regioni periferiche, ma non isolate. Con il risultato di bombardare di prestiti alcune comunità, creare bolle e innescare un meccanismo in cui i debiti venivano saldati con altri debiti.
Degenerazioni pericolose, figlie tanto della forsennata ricerca di utili da parte delle società for profit, quanto del vuoto in cui si sono mosse per anni. In attesa che le nuove tecnologie facciano nascere la figura del banking correspondent là dove non ha ancora senso aprire una filiale, l'unica alternativa al microcredito rimangono gli strozzini. Consentirgli di tornare a dominare il mercato rurale con i loro tassi d'interesse del 100% e più per salvare dall'oblio qualche oscuro e inefficiente dipartimento statale sarebbe un peccato.
(Fonte Il Sole 24ore)

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